Mio marito ed io tornammo a casa, dopo essere stati dal medico, verso le ore 12 e dopo pochi minuti sentimmo suonare il campanello. Andai alla porta: “Chi è?” – domandai – “Siamo amici di Valerio” - mi rispose una voce– “Non c’è, è a scuola” – dissi io - “Possiamo aspettarlo in casa? Siamo stanchi. Lei ci conosce, siamo venuti altre volte”. Aprii, ma appena appena il tempo di intravedere il viso di uno di loro che subito si calò il passamontagna; gli altri due (erano tre in tutto) l’avevano già. Il primo mi mise la mano sulla bocca per non farmi gridare e mi girarono; mio marito mi chiamò e loro individuando da dove proveniva la voce si diressero in camera da letto immobilizzandolo in due e buttandoci entrambi sul letto. Contemporaneamente ci legarono e ci tapparono la bocca con nastro adesivo per pacchi. Uno di loro rimase sempre in camera con noi, gli altri due si precipitarono in camera di Valerio a frugare nei cassetti e nell’armadio. Quello che stava in camera con noi ci puntava ripetutamente la pistola davanti minacciandoci ; diceva: “State buoni e non succederà niente, vogliamo parlare con Valerio”. E per parlare con nostro figlio dovevano legarci e imbavagliarci? Io e mio marito cominciammo a temere per Valerio e mi auguravo che non venisse a casa, che avesse un piccolo incidente con la vespa. Qualsiasi cosa purché non rientrasse. Ogni tanto entrava uno degli altri due, parlottava con quello che era con noi poi se ne andava; si chiamavano “fratello” fra di loro.
Verso le ore 14 sentimmo aprire la porta: Valerio era tornato!
Ci fu una lotta, rumori forti. Valerio faceva karate e judo perciò sapeva difendersi, ma di fronte a tre persone armate cosa poteva fare? Io cercavo di scendere dal letto riuscendoci dopo vari tentativi; mentre ero in terra sentimmo un colpo di pistola e dopo un attimo un altro colpo, poi la voce di Valerio che chiamava “Mamma aiuto, aiuto mamma!”. Mi sentii gelare il sangue mentre loro scappavano. Nel frattempo con il mento ero riuscita ad aprire la porta e vidi Valerio di traverso sul divano, il sangue che gli usciva dalla bocca… Valerio se ne stava andando.
Arrivarono i vicini di casa che ci slegarono; poi arrivò la polizia, quasi subito perché una pattuglia era nel garage dove Valerio lasciava la vespa, e l’avevano visto poco prima, ci dissero. Venne un funzionario della Digos, il dr. Andreassi, che cominciò a farmi domande. Mio marito lo accompagnarono al distretto di polizia. Ore interminabili, senza sapere niente di mio figlio: come ho odiato quel giorno il funzionario che mi teneva in casa senza poter correre da Valerio. Soltanto verso le ore 19 ci lasciarono andare in ospedale dove, appena arrivati, trovammo Fabrizio, amico caro di Valerio e vicino di casa; lui era andato dietro l’ambulanza da solo e arrivato in ospedale fu accerchiato dai compagni e amici di Valerio: Fabrizio era di destra però era l’amico del cuore di Valerio e non gli fecero niente. Era spaventato e terrorizzato per la morte di Valerio.Non riuscimmo a vedere nostro figlio perché era già stato chiuso. Volevamo donare gli organi, ma arrivammo troppo tardi.
Tornammo a casa distrutti e trovammo ancora la polizia che ci informò che l’inquilino che stava al piano sopra il nostro li aveva visti e aveva fatto un identikit; li aveva visti anche giorni prima parlare con Valerio davanti alla porta della sala giochi sotto casa. Questa notizia ci diede una speranza, ma il giorno dopo l’inquilino ritrattò tutto: ci telefonò dicendo che aveva un figlio e aveva paura per lui; dopo un mese se ne andò via dal palazzo, è ovvio che venne minacciato. Si trasferì in un bell’appartamento sulla Cassia, e lui non poteva certo comprare una casa in quella zona, non possedeva tanti soldi, e poi era in attesa che dessero a riscatto le nostre abitazioni: deducemmo che gliela avessero regalata in cambio del suo silenzio.